Follia in Cristo e potere. Il caso di san Nicola il Pellegrino

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Panaghiotis Ar. Yfantis

Università “Aristotele” di Salonicco-ISE Venezia

1. Prologo

S.Nicola.Pell[101099]Quando mi sono messo a scrivere la presente relazione pensavo che non esiste un luogo nel mondo occidentale più adatto di Assisi per parlare della follia in Cristo. E questo perchè parecchi secoli fa, in questa città i compaesani di Francesco d’Assisi, stupiti o scandalizzati dalla sua conversione, «cominciarono ad ingiuriarlo, gridando che fosse stolto e insensato, gettando su di lui terra e pietre»[1]. Grazie alla sua stoltezza volontaria il Poverello è un parente lontano dal punto di vista geografico o cronologico, ma spiritualmente molto vicino, a san Nicola il Pellegrino, a cui sono dedicate ambedue le relazioni della presente sessione. San Nicola nacque nel 1075 alla cittadella di Stiro di Beozia in Grecia e morì il 2 giugno del 1094 a Trani (nell’Italia meridionale. La ragione che spiega il posto di Nicola nel orizzonte investigativo del nostro Simposio Intercristiano è che si tratta di una persona che mentre viene onorata come santo patrono nella città cattolica dove morì, non ha ancora avuto un riconoscimento simile nella sua patria culturale e spirituale. Però oltre all’interesse ecclesiologico ed ecumenico che investe il caso di San Nicola, c’è quello pastorale e spiritualmente attuale che corrisponde al tema generale del Simposio di quest’anno, e cioè l’incontro di questo personaggio con tutti i poteri sociali, economici, religiosi o anche ecclesiastici, che con la loro forza spesso tentatrice, molte volte calunniano o addirittura combattono apertamente la vita spirituale.

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2. L’autorità genitoriale e gli stereotipi sociali

Il primo ostacolo che San Nicola fu chiamato ad affrontare fu l’autorità genitoriale e gli stereotipi sociali dell’epoca e della sua città natale. Il silenzio delle fonti riguardo il padre di Nicola sottintende il ruolo dominante della madre, che decise per motivi economici di mandare suo figlio, che aveva appena otto anni, a pascolare le pecore. Ad un certo momento mentre pascolava, il piccolo Nicola, spinto forse da una rivelazione divina, “cominciò ad esclamare a gran voce” una preghiera biblica e molto diffusa grazie alla spiritualità filocalica, cioè il “Kyrie eleison” (“Signore abbi pietà”)[2], la preghiera biblica breve e molto famosa. La madre disturbata, impaurita e anche arrabbiata da questo atteggiamento costrinse suo figlio ad “abbandonare quella che lei considerava una grande stoltezza”[3]. Nei confini del microcosmo agrario dove vivevano, l’atteggiamento strano di Nicola sicuramente provocava vergogna e un motivo di esclusione ed emarginazione sociale ed economica ancora più grave per tutta la famiglia. Per quattro anni cercò di far girare la testa di Nicola ma tutto fu invano. Così lo cacciò via di casa con l’imposizione di non tornarci mai più[4]. Nicola si ritirò in una grotta sulla montagna, dove continuò a pregare nutrendosi solo di erbe selvatiche. Intanto, sua madre, convinta che Nicola fosse posseduto dal demonio «pagò alcuni e lo fece catturare»[5].

È chiaro che la madre avendo trasformato il legame materno in catena di manipolazione e di potere, diffama a causa della sua ignoranza o della sua rabbia il carisma spirituale di suo figlio e coscientemente lo condanna e lo punisce. Questi, però, sopporta la sua severità senza dire niente e senza mormorare, con tolleranza e umiltà. Nicola sa che se cambiasse il suo comportamento per diventare socialmente accettato, potrebbe lavorare, soccorrere la sua famiglia povera e rendere fiera sua madre. Però, rimane fermo alla sua vocazione spirituale, senza pensare al costo emozionale. Altri santi nel passato entrarono in conflitto con i propri parenti pagani, spiritualmente analfabeti o anche apostati mentre san Francesco, affidatosi alla provvidenza del padre celeste, rifiutò non solo i beni materiali della famiglia, ma anche il suo padre biologico, che credeva suo figlio folle[6]. Fino ad oggi ci sono fedeli, e ne conosco molti personalmente, che a causa delle loro scelte spirituali affrontano le offese, la collera o anche la violenza psicologica o fisica dei propri parenti, che sognavano per i loro figli brillanti carriere, prestigio sociale e potere economico. La volontaria scelta della stoltezza rende i rapporti familiari ancora più dolorosi. Infatti, chi può immaginare una mamma che sostenga suo figlio fanciullo a rimanere per sempre fanciullo per amore di Cristo, sacrificando tutti i privilegi e i piaceri degli adulti?

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3. L’autorità spirituale del monachesimo

Tra poco, troviamo Nicola nel famoso monastero di Osios Lukas, dove secondo un suo biografo andò volontariamente[7] e secondo un altro, fu condotto da sua madre per essere guarito dai demoni[8]. I monaci non permisero a Nicola di entrare nella chiesa, picchiarono, imprigionarono, incatenarono, ma lui ogni volta miracolosamente si liberava e appariva di nuovo di fronte a loro, chiedendo ad alta voce la pietà divina[9]. Infine, i monaci decisero di gettarlo nel mare, da dove però di nuovo venne salvato con l’aiuto di Dio[10].

Un giorno Nicola incrociò Teodoro, l’abate di quel monastero. L’abate con l’aiuto di alcuni monaci mise Nicola su un ferocissimo cavallo per tormentarlo[11]. Un altro giorno, Nicola, esprimendo il coraggio profetico e la sensibilità sociale dei santi folli d’oriente rimproverò Massimo, l’economo del monastero per la sua crudeltà nei confronti dei poveri. Il monaco, accecato dall’odio, bastonò Nicola lasciandolo con ossa fratturate e quasi morto[12]. Infine, quando un giorno volle partecipare alla solenne liturgia nella festa dei santi Anargiri, di nuovo l’abate Teodoro, che era solito concelebrare questo giorno, gli rinnegò la comunione e lo fece uscire dalla chiesa come scomunicato[13].

Già fin dalla nascita del monachesimo cenobitico non mancano le tensioni tra i monaci. D’altronde, la promessa dell’obbedienza assoluta al priore e le virtù tipicamente monastiche della pazienza e dell’umiltà, oltre il loro fondamento cristocentrico, sono presupposti indispensabili per la funzione della comunità e, nello stesso tempo, prove dei problemi che emergono dalla convivenza obbligatoria di tante persone.

L’abate e i monaci di Osios Lukas forse volevano insegnare a Nicola i principi rigidi della vita ascetica o semplicemente divertirsi mettendo alla prova la sua resistenza spirituale. Forse erano convinti che per cacciare il demonio da Nicola dovevano avvilirlo fisicamente e moralmente. Forse la sua invocazione ad alta voce disturbava la loro quiete o forse invidiavano Nicola perchè non avevano il suo carisma della preghiera continua. Comunque sia, il loro atteggiamento dimostra che certe versioni della diversità carismatica risultano incompatibili o addirittura pericolose anche per un ambiente spirituale, come quello monastico, che deve la sua fondazione ad una vocazione carismatica, ma basa la sua sopravvivenza sulla osservanza dei canoni. Infatti, non sembra impossibile che un abate o un priore esorti i suoi figli spirituali a seguire la loro inclinazione alla follia per Cristo, pur rimanendo nella fraternità?

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4. L’autorità gerarchica

Nicola, forse deluso dalle sue esperienze nell’ambiente familiare e spirituale della sua patria, decide di fare un pellegrinaggio. La sua destinazione era Roma e assistente al suo progetto ardito un monaco, di nome Bartolomeo, che lo incontrò casualmente nel porto di Lepanto e lo accompagnò fino alle coste pugliesi. Il suo obbiettivo era di visitare la città benedetta dal sangue degli apostoli e dei martiri, ma prima che arrivasse a Roma, la Provvidenza divina lo rese cittadino permanente della Gerusalemme celeste.

Abbiamo già parlato del rapporto di Nicola con l’autorità spirituale monastica. In seguito facciamo riferimento al suo rapporto con l’autorità gerarchica, durante i suoi viaggi in Italia meridionale. Secondo un biografo di Nicola, il vescovo di Lecce disturbato dal suo comportamento strano, ossia l’invocazione incessante della misericordia di Dio, prima “lo fece prendere e crudelmente fustigare” e poi lo cacciò via dalla chiesa[14]. Lo stesso biografo attribuisce la morte immatura del santo alle frustate che il vescovo della città ordinò di dargli, aggravando ancora di più la sua salute già fragile[15]. Alla fine, san Nicola si recò fino a Trani. E nei pochi giorni prima che morisse dalle ferite diede il perdono al vescovo che le aveva provocate[16].

Tra i cardini sostanziali del potere ecclesiastico che garantiscono la sua perpetuazione e la sua effettività sono i seguenti: (i) il riconoscimento della sua autorità da parte del pleroma, (ii) l’osservanza obbligatoria e inviolabile dei canoni di comportamento che la stessa stabilisce per assicurare un clima di reale o apparente serenità, tranquillità e unità tra i fedeli, e (iii) la fiducia del gregge nel ruolo mediatore e indispensabile della gerarchia per la salvezza.

Alla luce di questi cardini, non è difficile spiegare la reazione quasi istintiva della gerarchia nei confronti del giovane vagabondo. Nicola sin dalla sua conversione divenne un “uomo diverso”[17]. E questa diversità o “buona alterazione” si deve al suo rapporto particolare con Dio e alla sua vocazione assolutamente personale. Rimane o ritorna allo stato dell’infanzia perchè, secondo il Vangelo[18]. E ai bambini non piace rispettare le regole nemmeno durante i loro giochi. Poi, Nicola, non mette in dubbio il potere gerarchico, nè trascura i sacramenti. Al contrario, sono i distributori istituzionali della grazia che gliela rinnegano, perchè constatano che la sua fede e la sua fedeltà alla Chiesa è radicata su un rapporto diretto con Cristo. E questo compromette il ruolo dei sacerdoti come mediatori.

A dispetto di quanto osservano gli studiosi, cercando di esaurire o comprimere la follia in Cristo in un elenco tipologico, questa versione di santità non è sempre una scelta cosciente del cristiano che fa finta di essere peccatore o matto per nascondere le sue virtù e le sue conquiste ascetiche. È prima di tutto un carisma e come tale viene espresso candidamente e spontaneamente, perciò non conosce confini di età, come dimostra il caso di Nicola il Pellegrino. La follia in Cristo non è uno stato che può essere acquistato o accaparrato tramite le virtù, nonostante ne presuppone o nasconde molti, come l’umiltà, la povertà volontaria e la mortificazione assoluta dell’io. Non è una una via o un metodo di ascesi che tutti possono praticare, basta che lo si voglia. È una vocazione spirituale che obbedisce ed esprime la libertà assoluta del suo datore divino. Però, poichè questa libertà carismatica relativizza il vigore dei canoni, risulta quasi incompatibile per le finalità pastorali. Infatti, un vescovo o un parroco non esorta mai i fedeli, nella predica di domenica o anche nella festa di un folle per Cristo, a adottare un atteggiamento strano sia per nascondere i propri doni sia per destare le coscienze sopite dei fratelli.

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5. L’autorità devozionale e la violenza del laicato

Torture simili soffrì Nicola da quella parte del gregge che nella sua persona vedeva una deviazione pericolosa dai limiti di un convenzionale atteggiamento morale. Oltre a quelle persone che hanno collaborato con i monaci e i chierici per torturarlo, la maggioranza dei cristiani laici affrontava Nicola come un matto o un frodatore. Mentre si trovava ancora in Grecia, calunniato da una fanciulla di essere stata sedotta da lui, Nicola fu picchiato ferocemente dai contadini di un villaggio come “stolto e pestilenziale ingannatore”[19]. Poi, alcuni compagni di viaggio sulla nave verso Italia, forse disturbati o scandalizzati dal suo atteggiamento, lo buttarono nel mare[20]. Ugualmente drammatico e anche esplicativo per il nostro tema è l’episodio seguente che si legge in una delle sue fonti biografiche. Nicola partecipando in una processione in onore della Madonna a Otranto “incontrò un anziano e riverendolo gli disse: «Salve, mio fratello e signore. Tu e io siamo stati plasmati dall’unico creatore». E lo abbracciò”. Le parole e il gesto scandalizzarono i cristiani presenti perchè l’anziano era ebreo. Perciò chiesero a Nicola di adorare l’immagine della Madonna, come prova della sua fede. Questi rifiutò di venerare l’immagine e dopo aver ricevuto molte bastonate si alzò e cominciò a elevare inni e lodi alla Madonna, perchè gli aveva permesso di essere torturato per la sua gloria[21].

L’amore di Nicola per l’altro non cristiano, che però rimane una immagine di Cristo anche se lo ignora o rifiuta di accettarlo, si scontra con l’intolleranza nascosta dietro la maschera di una fede rigida. E il suo rifiuto provocatorio di dimostrare la sua devozione verso la Madre di Dio, rimprovera il formalismo pietistico e il moralismo che sabotano la vera fede e la libertà dell’ethos cristiano.

La posizione di Nicola nei confronti della diversità religiosa è un esempio notabile di tolleranza e di sensibilità ecumenica per i cristiani dei suoi tempi. Inoltre, è particolarmente attuale a causa del suo radicalismo biblico anche nei nostri giorni, se si tiene conto della micidiale violenza del fanatismo religioso contemporaneo, del ritorno dinamico di ideologie e di pratiche di un razzismo estremista e della sopravvivenza o il ravvivamento di un fondamentalismo cristiano che incrimina o addirittura demonizza il dialogo interconfessionale e interreligioso, nel nome di un puritanesimo dogmatico.

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6. Conclusione

La follia in Cristo è una testimonianza diacronica di libertà e di amore senza confini. Ambedue i valori da sempre erano fastidiosi e difficili da accettare. Però, durante il xx e all’inizio del xxi secolo sembrano perseguitate. Ogni sistema o gruppo politico di qualsiasi sfumatura ideologica è ostile alla libertà perchè essa compromette l’unità dei suoi membri e ha paura dell’amore perchè esso elimina la contrarietà, l’odio e la sete di vittoria, di potenza e di dominio, cioè la ragione e il modo d’essere di ogni ideologia. Lo stesso vale per lo più nei vari ambienti di lavoro, che basano la produttività sull’antagonismo ma anche nei rapporti sociali e interpersonali, dove l’altro viene affrontato come mezzo di soddisfazione individuale o di riconferma narcisista.

Intanto, la libertà e l’amore vengono affrontati con indifferenza, sospetto o anche ostilità anche all’interno di molti ambienti cristiani ed ecclesiali. Infatti, quando la Chiesa si sente rassicurata nella propria autosufficienza spirituale e mira solo a conservare o aumentare il suo prestigio istituzionale e la sua potenza economica; quando la fede si identifica con l’annullamento della diversità religiosa; quando la devozione si esaurisce nella osservanza esteriore dei canoni e si interessa solo della giustificazione individuale; quando, infine, la diaconia pastorale coltiva la paura dell’altro, del corpo, del peccato e dell’inferno e la figliolanza spirituale è vissuta come sottomissione servile, allora l’amore diventa inutile e la libertà un peso spiritualmente pericoloso. Nonostante la libertà sia prova dell’affinità dell’uomo con Dio biblico e l’amore la qualità distintiva dei cristiani[22], non sono sicuro se ci sia un padre spirituale che durante la confessione si interessa se il fedele rispetta la propria libertà e la libertà degli altri o se osserva sempre e ovunque il comandamento nuovo dell’amore anche verso i nemici[23].

San Nicola il Pellegrino, come anche molti altri folli per Cristo, affrontò con fede e fedeltà in Dio tutte le sofferenze fisiche e spirituali causate dal suo rapporto con il potere. E seppe trasformarle in altrettanti fronti di lotta interiore.  Perciò la testimonianza di questo estremista dell’amore in Cristo e della libertà spirituale rimane attuale e preziosa per tutti i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà di oggi.

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[1] Leg3compagni 16: FF 1415.

[2] Anonimo sulla base del racconto di Bartolomeo, compagno di viaggio del Santo, Vita di S. Nicola in Grecia, 2 [in poi Anonimo, Vita].

[3] Anonimo, Vita 3.

[4] Anonimo, Vita 3.

[5] Anonimo, Vita 4.

[6] Cf. Leg3compagni 19-20: FF 1419.

[7] Adelferio di Trani, Vita di S. Nicola, 31.

[8] Anonimo, Vita 4.

[9] Anonimo, Vita 5.

[10] Anonimo, Vita 6.

[11] Anonimo, Vita 11.

[12] Anonimo, Vita 13.

[13] Anonimo, Vita 14.

[14] Anonimo, Vita 21.

[15] Anonimo, Vita 27.

[16] Adelferio di Trani, Vita di S. Nicola 35.

[17] Anonimo, Vita 2.

[18] Mt 18, 1-4.

[19] Anonimo, Vita 16.

[20] Anonimo, Vita 17.

[21] Anonimo, Vita 19.

[22] Gv 13, 35.

[23] Mt 5, 44.

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